Domanda capitale: hanno anche gli animali (le piante, i minerali ecc.) un Dasein, un Esserci (in der Welt)?
Straordinarie le pagine di Montaigne nell’Apologia di Raymond Sebond: più di quaranta pagine fitte fitte.
A Montaigne appare del tutto evidente che agli animali qualcosa “passi per la testa (passe par la teste)”; che, quindi, abbiano “intelligenza, consenso, e ragionamento (intelligence, consentement et discours)”; una “mente nel loro interno (discours au dedans)”, una “intelligenza (discours)”; ma anche un’“anima (ame)”; quindi la facoltà della “simpatia (sympathie)”; in ogni caso “pregio di scienza e saggezza (tiltre de science et de prudence)”.
Cito solo un passo in cui viene attribuita all’animale la capacità di abdurre: Crisippo, “osservando i movimenti del cane che, incontrandosi in un incrocio di tre strade, o cercando il padrone smarrito, o inseguendo qualche preda che scappa davanti a lui, prova una strada dopo l’altra (va essayant l’un chemin apres l’autre), e, dopo essersi assicurato di due e non avervi trovato traccia di ciò che cerca, si slancia (s’eslance) nella terza senza esitare (sans marchander), è costretto a confessare (il est contraint de confesser) che in quel cane (en ce chien) si svolga questo ragionamento (un tel discours se passe): Ho seguito fino a questo incrocio le orme del mio padrone; bisogna necessariamente (il faut necessairement) che egli passi da una di queste tre strade: non è né da questa né da quella; bisogna dunque infallibilmente (il faut donc infalliblement) che passi da quest’altra; e che, fattosi sicuro con questa conclusione e con questo ragionamento (s’asseurant par cette conclusion et discours), non si serve più del suo fiuto (il ne se sert plus de son sentiment) alla terza strada, né l’annusa più (ne le sonde plus), anzi si lascia trasportare dalla forza del ragionamento (ains s’y laisse emporter par la force de la raison). Questo tratto puramente dialettico (dialecticien) e quest’uso di proposizioni divise e congiunte e della sufficiente enumerazione delle parti, non significa che il cane lo sappia da sé piuttosto che da Trebisonda (vaut il pas autant que le chien le sçache de soy que de Trapezone)”.
Il “ragionamento” del cane sembra basarsi su una deduzione. Lo suggerisce il “bisogna necessariamente” che incontriamo appunto nel sillogismo:
Gli uomini sono mortali; |
REGOLA |
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ma |
Socrate è un uomo; |
CASO |
quindi |
Socrate è mortale (necessariamente). |
RISULTATO |
Invece sottostà ad una vera e propria abduzione (una vera e propria formazione di ipotesi [Montaigne invece di dire “abdurre” (dal volo degli uccelli), dice: “tirer des consequences des choses à venir”]):
Alla ricerca del mio padrone, mi trovo davanti a un trivio; |
RISULTATO |
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ma |
se due strade del trivio mi risultano impercorribili, percorribile è la terza; |
REGOLA |
allora |
il mio padrone si è incamminato sulla terza (forse). |
CASO |
Netta è l’impressione che il cane non si affidi a una deduzione; che, cioè, non dia per scontata la “regola” per discendere da essa, attraverso il “caso”, al “risultato”; ma che si impegni a costruire la regola a partenza dal risultato allo scopo di approdare al caso.
Infatti, è vero che se avevo tre possibilità e due di esse sono ormai escluse, mi rimane solo la terza. Ma, nel caso del nostro cane, non è assolutamente certo che la terza possibilità non sia un inganno.
La mia impressione è che la sicurezza con cui il cane si incammina verso la terza strada (“fattosi sicuro” + “si lascia trasportare dalla forza del ragionamento”) dipenda dallo slancio con cui si affida ad un’ipotesi che gli sembra brillante e che verificherà tramite induzione quando avrà trovato il padrone:
Ho imboccato la terza strada; |
CASO |
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ma | ho trovato il mio padrone; |
RISULTATO |
quindi | quando ti si presentano tre possibilità e due di queste sono sicuramente da escludersi, è opportuno affidarsi alla terza (sino a prova contraria). |
REGOLA |
In ogni caso, anche se ammettiamo che il cane osservato da Crisippo non abduca; che, anzi, si conformi ad una regola data per scontata (giacente nel suo patrimonio genetico come spinta istintiva), dobbiamo per forza risalire ad un momento in cui questa regola non era “data” e bisognava “ipotizzarla” (cosa che hanno fatto i progenitori del nostro cane?).
“Quand je me jouë à ma chatte, qui sçait si elle passe son temps de moy plus que je ne fay d’elle”.
Dai Gulliver’sTravels, per molti versi debitori dell’Apologia di Montaigne, come dell’Utopia di Thomas More: Gulliver abbandona la terra dei cavalli (degli Houyhnhnm): “Mentre stavo per prostrarmi a baciargli (al “padrone” cavallo) lo zoccolo, egli mi fece l’onore di sollevarlo gentilmente alle mie labbra. Non ignoro quante critiche mi siano state mosse per aver mentovato quest’ultimo particolare: giacché i miei detrattori si compiacciono di ritenere improbabile che un personaggio così illustre si abbassi a concedere un alto segno di distinzione a una creatura inferiore come me (to a creature so inferior as I)”.
Questo al momento della partenza dalla terra dei cavalli; ma all’arrivo? “Diversi cavalli e giumente di riguardo, che abitavano nel vicinato, venivano spesso alla nostra casa, avendo avuto notizia of a wonderful Yahoo (per definizione l’Yahoo è an odious animal for wich Gulliver ha so utter a hatred and contempt) che riusciva a parlare come un Houyhnhnm, e che sembrava manifestare nei suoi atti e nelle sue parole some glimmerings of reason”.
Gulliver è un Yahoo = uomo “meraviglioso” proprio perché si inchina di fronte al cavallo; perché cerca di distinguersi as much as possible from that cursed race of Yahoos.
Ma, tornando a Montaigne e alla sua gatta, come non avvicinare alla simmetria Montaigne-gatta la simmetria Nietzsche-cavallo?
Béla Tarr, con Il cavallo di Torino, ha avuto l’idea geniale di investigare immaginativamente il seguito della famosa scena torinese.
Ricordate!, all’uscita dalla sua abitazione di Torino, il 3 gennaio 1889, Nietzsche vede un vetturino frustare il suo cavallo; si precipita a fermare il vetturino e, singhiozzando, abbraccia il cavallo…
Impazzì; sembra che abbia mormorato: “Mutter, ich bin dumm (Madre, sono scemo)”: inevitabilmente penso all’uomo “tonto” – “der tumbe Mensch” – della Nascita della tragedia che, chissà quanto felicemente, ho avvicinato all’Idiota di Dostoevskij…
Si può pensare quel che si vuole del film di Béla Tarr; resta la genialità dello sguardo simmetrico: su Nietzsche e sul cavallo. Il divertente, e anche commovente, in Montaigne, in Nietzsche/Béla si trasforma in tragico.
Un frammento postumo: “Molte specie animali sono già scomparse; posto che anche l’uomo scomparisse, niente verrebbe a mancare nel mondo. Bisogna essere abbastanza filosofi per ammirare anche questo nulla (nil admirari)” (11[102]).