Fa parte dello sciocchezzaio sull’oriente (medio o lontano), l’abitudine degli orientali a trattare sul prezzo fino all’estenuazione. Ricordo: Marco scopre un venditore di maschere;
ce ne sono una grande quantità. Marco è molto interessato; quando mi accorgo che sta trattando, mi allontano (non di molto, per non perdere il contatto). Dopo una buona mezz’ora, Marco ha concluso: due maschere…Di ritorno dall’aver mangiato, gli dico che avrei comprato volentieri una maschera; il suo nome era ed è Le malade. Marco mi convince a comprarla; ma mi chiede di lasciargli fare la trattativa. Accetto. Ad un certo punto esce e mi chiede di parlare brevemente con lui; quindi, di interrompere il dialogo assumendo un’aria stizzita.
Lo faccio.
Quando esce, ha comprato Le malade; ha pagato 105 euro; invece di 220!
Mi racconta che al Nostro ha fatto il seguente discorso: “Ha visto quel mio amico anziano? È uno psicoanalista. Nel suo studio Le malade ci starebbe benissimo. Ma a lui non interessano le maschere! Comunque, io voglio fargli un regalo. Però mi deve trattare bene! Ho comprato già due maschere; e poi sono un giovane squattrinato!”
Qui di seguito Le malade nel mio studio. Una cosa è sicura: io non tratto. O tratto il giusto. Mi sembra che tutto costi una miseria! (La prima volta che andai a mangiare, in India, mi fecero pagare un pasto sontuoso 40 rupie. Mi scandalizzai e ne detti il doppio. Così ho fatto per tutto il viaggio. Anche nei ristoranti high quality).
Gli orientali non trattano perché piace loro l’intrattenimento.
Per cui: interrompere il dialogo con loro (sul prezzo), equivarrebbe a una vera e propria bestemmia; una vera e propria s-costumatezza!
Lo pensavo anch’io. Ricordo Gerusalemme; sono con tre amici; una coppia di ebrei milanesi, una giovane genovese… Siamo nel mezzo del suq. Vedo una caffettiera turca che mi pare subito meravigliosa. Mi avvicino; ne chiedo il prezzo. Il Nostro spara una cifra che mi pare esorbitante. Un gesto di stupore e faccio per allontanarmi.
Appena due passi, una mano mi ghermisce l’omero. Mi volto: il Nostro mi dice: “È lei che mi ha chiesto!”
La mia interpretazione: mi vuole dire: “È lei che ha cominciato… il discorso. Non lo può interrompere sul più bello”.
Mi soffermo in una lunga chiacchierata; e mi allontano con due caffettiere che ho ancora; una molto grande e una molto più piccola: madre e figlia. Mi sono costate, non dico “nulla”; ma pressappoco.
Le cose, secondo me, stanno diversamente: manca in oriente – ma lo stesso dicasi di tutti i paesi poveri; mio padre mi parlava delle “trattative” feroci con i napoletani! –, un costo stabilizzato. Manca, cioè, l’unità di misura (da cui discende il prezzo “fisso”).
Almeno nello scambio commerciale con lo straniero.
Che è veramente straniero; appartiene ad un altro mondo; sicuramente a un mondo più ricco.
Questa unità di misura, quindi, il commerciante se la costruisce attraverso il dialogo; dialogo che intrattiene, non perché gli piace trattare; ma perché gli è necessario, da molti segni, congetturare quanto può sborsare lo straniero; quello-straniero-lì. Ma, solitamente, lo straniero è molto ricco; stra-ordinariamente ricco. Quindi, il commerciante parte dalla cifra più alta possibile. Il culmine della proposta, misura il tuo valore “presunto”. Nel corso delle trattative riesce, eventualmente, a capire che ha presunto troppo (mai troppo poco).