1) Un pamphlet imbarazzante.
Sono un ammiratore (e anche uno studioso) di Proust.
Ho letto, perché me l’ha suggerito il Sole 24 ore domenica scorsa, il libretto di Parente (di lui ho saputo ch’è “la firma più prestigiosa de ‘Il Giornale’” da un risvolto di copertina).
Potrei dire che sottoscrivo pensiero per pensiero.
Soprattutto la precisazione a controvento rispetto ai molti commentatori edulcoranti di Proust, che l’“evidenza della cosa terribile”, la morte, concerne non solo gli uomini ma anche le loro opere: “La durata eterna non è promessa agli uomini più che ai libri” dice Proust ne Il tempo ritrovato); accettando il destino caduco anche della sua opera.
Ma mi ha spiacevolmente impressionato
(1) l’ossessività con cui Parente si confronta con questo dato: non ha pace né dà pace. Una sorta di urlo continuato che riesce a forse ad evitare la depressione all’autore col ricorso all’assalto contro il lettore, gabellato come inevitabilmente pedissequo, assalto mirato a portare (il lettore), non si sa perché, ad una disperazione senza sbocco;
(2) in fondo, idem cum, la scrittura del testo (63 pagine in tutto), quasi come un pamphlet, senza nessun ricorso alla capitolazione; che, inevitabilmente avrebbe creato più respiro; forse avrebbe anche permesso di precisare le sfaccettature del problema che, invece, all’interno di una iterazione capace solo di poche variazioni su un unico tema, risulta veramente accablant!
2) Il tramonto della lingua (e non solo di quella italiana)
Quel che mi ha colpito è anche la farcitura di errori grossolani, e, più in generale, la difficoltà del periodare. Sicuramente non fatta propria la lezione proustiana: enorme complessità del periodare + perfetta precisione delle sue movenze = chiarezza assoluta del testo.
Colgo l’occasione per alcune osservazioni.
Mi ero già accorto che gli studenti non conoscevano l’italiano se non quello parlato. Tanto che ho quasi sempre evitato di fare gli “scritti” onde evitare la bocciatura conseguente della loro gran parte (della quasi totalità).
Poi mi sono accorto che di errori erano zeppi anche i testi dei miei colleghi.
Nei giornali, che da qualche tempo leggo soprattutto on line, forse anche per la mancanza dei correttori di bozze scomparsi a causa della crisi economica, il gioco è a chi la spara più grossa (non parlo di politica o di informazione; parlo di grammatica e di sintassi. E non solo refusi (io brillo per l’abbondanza dei miei refusi).
Ma anche dei telegiornali: mi ricordo quando mi tappai le orecchi di fronte ad un “persuádere” gridato da un mezzo busto del canale 3: con un passaggio brutale dal “piano” (“persuadére”) allo “sdrucciolo” (persuádere).
Mi hanno colpito parole come clauchard pronunciata con la “d” finale; o “Leitmotiv” pronunciata all’inglese “leitmótiv”… invece che alla tedesca “LaitmotÍf”…
L’altro ieri, da una firma eccellente del giornalismo italiano: “tete à tete” invece di “tête à tête”. Se l’intenzione era quella di italianizzare, che ci sta a fare la “à” accentata?
L’elenco sarebbe lunghissimo. Basterebbe ricordare, nella traduzione italiana de Le benevole presso Einaudi: “la palla di stracci si disfò nel sangue” invece che“si disfece nel sangue”. Dico: Einaudi! Forse vale la pena di indicare la pagina: 2006, p. 179.
Ad un certo punto mi son detto: niente di grave; stanno tramontando le lingue che una volta si parlavano in tutto il mondo. Forse l’arabo, il cinese, lo spagnolo conservano la loro perfezione (anche se modellata dalla vitalità della lingua che progredisce: al ginnasio il Prof. Riccobon mi chiese; “Cesario, perché si dice motoscáfo e non piroscáfo? O perché si dice piróscafo e non motóscafo?” Per farla breve, ci spiegò che nella lingua è l’“uso” che detta legge).
Il problema è, adesso, capire la dinamica di quest’uso. La mia impressione è che tutte le nostre lingue stiano tramontando. E che non sia proprio il caso di aduggiarsene. Normalmente ad ogni tramonto segue una nuova aurora. Un po’ di tristezza forse ci viene al pensiero che noi, quell’aurora, non la vedremo.
3) Elenco degli errori da matita rossa o blu o di altro colore.
Qui sotto segnalo una serie di errori o di contorcimenti sintattici del Nostro. Non per usargli una cattiveria (anche se questa negazione potrebbe essere capovolta in un’affermazione: nessuno mi ha chiesto di “negare” la ma “cattiveria!”). Ma per dargli una sorta d contributo: muore l’uomo; muore l’artista (ad esempio Proust); muore la sua opera (quel che, secondo Parente, è l’opera più grande dell’occidente); ma, forse, muore anche la lingua. Noi stiamo già usando un’altra lingua. E, dopo di noi, non il diluvio; ma altri fiumi, altri torrenti, altri ruscelli…
GLI ERRORI:
p. 11: È difficile immaginare come possa uno scrittore circoscrivere al contempo l’illusione di un mondo e la fine di ogni mondo, l’incantamento di cose futili come la ‘nobiltà’ e il decadimento di ogni cosa, l’illusione e la fine di ogni illusione, l’ammirazione della bellezza
a fronte di un’altra consapevolezza più profonda che annienta ogni bellezza”. Pessimo quell’“a fronte”! Ma il punto è che cosa si mette a confronto: l’ammirazione della bellezza con un’altra consapevolezza? Ma vi pare?
p. 22: “La felicità consiste nell’essere postuma a se stessa, non c’è mentre la viviamo, sentendola incompleta, e non ci sarà dopo, credendo di averla già vissuta”.
(Corrigendo scriveremmo: “quando crederemo di averla vissuta”).
L’errore fondamentale è nella perdita di vista del soggetto.
“Non c’è [la felicità] mentrela viviamo [NOI], sentendola [NOI] incompleta”: qui il soggetto a cui fa capo il viver la “felicità” e il sentirla incompleta è il medesimo… Anche se il tutto appare stiracchiato… Ma leggete il seguito: “e non ci sarà dopo [di LEI, della felicità, ch’è postuma], credendola [NOI] di averla già vissuta”: ci sono due soggetti in campo, la felicità (lei) e noi che crediamo di averla, lei, già vissuta!
Qui la sintassi non sta in piedi.
Anzi, non c’è sin-taxis!
p. 23: “Le illusioni sono la sostanza degli esseri umani, ma le illusioni non esistono e sono in fondo, rispetto ai primi anni in cui le crediamo vere, come una verginità, si perdono una volta sola”. Qui la sintassi funziona. Ma la frase è di una fragilità straziante (soprattutto se paragonata alla sintassi straordinaria del testo proustiano di cui l’autore si sta occupando.
pp. 24-25: “Albertine è costantemente oscena, sia in quanto femmina, essere desiderato sottratto alla vista, sia in quanto femmina desiderante altre femmine, impossedibile da un maschio, eppure al contempo non così sfuggente da non starci (Albertine si dà quindi come teoricamente bisessuale, ci sta col Narratore, lo cerca, lo vuole, ma dirige il proprio piacere segreto altrove in un territorio invalicabile)”: un obbrobrio di frase con due “starci” che proprio non ci stanno!
p. 27: “Quando ha il sospetto che Albertine non abbia davvero trascorso una giornata a Versailles, come gli aveva detto, poiché l’autista la scagiona, si rende conto di rimanerci male, in quanto le spiegazioni dell’autista, ‘scagionando Albertine, me la rendevano ancora più noiosa’”: frase debolissima. Ma è mai possibile, trattando di Proust, ricorrere all’espressione “rimanerci male”?
p. 28: “Il troncamento della frase di Albertine la rende sconcia proprio rispetto a ciò a cui allude, e nella congiunzione tra i puntini di sospensione che seguono il verbo ‘rompere’ e la rivelazione che ‘il culo’ che ‘rompe’, appena proferito, passa tutto il senso dell’oscenità femminile, un movimento erotico lancinante dall’allusione all’immagine pornografica che rimanda a sua volta, nella donna, al suo dove essere allusa, omessa, e rende oscena colei che conosce l’arte di sottintendere l’indicibile”.
Dico la verità (1) mi è difficile capire il senso del discorso; (2) uno che scrive di Proust, di quello scrittore ch’è capace di periodi che si dispiegano per pagine e pagine; con una sintassi complessa; ma senza che mai al lettore possa sfuggire il pensiero, il sottopensiero etc., un commento così astruso “stona”; (3) che cosa vuol dire: e la rivelazione che il ’culo’ che ‘rompe, appenaproferito” (che cos’è stato appena proferito: Deh, spiegatecelo!). ‘
p. 30: “Altrove specifica ancora meglio in cosa consiste il “terribile inganno dell’amore’ […]”: i congiuntivi! = “in che cosa consista”!
p. 31: “La realtà dell’amore, insomma, è una realtà virtuale, né più né meno o forse anche meno, concetto che Proust estenderà anche ai rapporti umani della sua totalità”: = “nella loro totalità”.
p. 53. “L’accostamento più forte e la superficialità tra la tragedia vista del Narratore e la discrepanza dei convenuti alla festa […]” = “vista dal Narratore” (qui, penso, un semplice refuso).
Conclusione
Ma forse tutto è più semplice (e banale): il Nostro è stato incaricato di scrivere un “pezzo” su Proust. E ha improvvisato. Ha bruciato i tempi. Non ha neppure avuto il tempo di rileggere!
Le osservazioni che ho svolto servono comunque.
È possibile che lo sguardo critico del lettore troverà in questo mio breve testo, oltre i soliti refusi, degli errori veri e propri.
Si chiamerebbe Zeitgeist!
trattasi di un refuso: accablant! Un altro refuso: Massimilano invece di Massimiliano. Grazie