Resoconto diegetico

L’aggressività o altro, il Da-sein, si “aliena” nelle “voci” o in esse si “conserva”?

Primo incontro

Da qualche tempo non faccio psicoterapie.
Ma ogni tanto produco, evidentemente in collaborazione con chi cerca per aiuto presso di me, una terapia che definirei “événementielle”.
Qualcosa che richiama il tipo di “consulenza” che facevo una volta: affidando al paziente di cercarmi in presenza di un miglioramento o di un peggioramento…
Ma, probabilmente capirete di che cosa si tratta leggendo questo capitoletto.
Dimenticavo di precisare che, in contrasto con le mie abitudini, fino all’anno scorso, di scrivere resoconti “mimetici”, cioè riferiti alla trascrizione integrale degli incontri, questa volta il mio resoconto è “diegetico”; non ho attivato il registratore, quindi mi devo fidare della mia memoria e produco un “racconto” (un resoconto “diegetico”).
Giorni fa mi telefona da una città abbastanza lontana dalla mia un signore che non conosco; mi dice che, su internet, ha incrociato il mio nome connesso con la cura delle allucinazioni uditive. Infatti, con Pino Pini, ho pubblicato La verifica della psicoterapia di un gruppo di uditori di voci (FrancoAngeli, 2003).
Mi racconta l’esperienza della sorella… Tra l’altro, sente anche delle voci…
Gli dico di proporre alla sorella di telefonarmi per un appuntamento. Gli preannuncio che faccio questo lavoro per passione, quindi gratuitamente.
La sorella mi telefona…
Viene accompagnata dalla madre e dalla sorella.
È la madre che prende per prima la parola. E la prende da lontano. Racconta di una bambina che ha avuto sempre problemi di convivenza con i compagni; bastava che si inserisse un “terzo” perché protestasse etc.
Mi parla di lei come di una bambina “ritardata”; alle elementari, era in una classe “di sostegno”.
Ogni tanto cerco di coinvolgere la signorina Franca, chiamiamola così, ma riprende la parola sempre la madre.
Ad un certo punto mi dice qualcosa che mi colpisce: proprio per dimostrare la gelosia di Franca mi dice che, intorno al sette anni… non sapeva scrivere (appunto perché ritardata)… ha scritto, come poteva, una lettera alla propria insegnante. Successivamente le lettere diventeranno due.
Franca un vero e proprio “inciso”, con rabbia mista ad arguzia: non “andava” bene” a scuola perché a scuola non ci voleva andare”!
A pensarci bene, un gioco di parole (e quanto rivelatore).
Che cosa è successo? Che Franca era molto seguita dall’insegnante… Ad un certo punto è stata iscritta una bambina diventata recentemente orfana (del padre)… e da quel momento l’insegnante si è dedicata più all’orfana che a Franca.
La prima lettera suona pressappoco così: “Cara maestra, tu sei la mia mamma. So che hai un marito e una figlia. Ma voglio lo stesso che tu sia la mia mamma”.
La seconda: “Mi trascuri occupandoti della nuova alunna orfana. A cui fai le mosse (= moine). Questo mi fa star molto male. Ti chiedo di essere la mia mamma… e di fare le mosse a me… Se non lo farai mi arrabbierò”.
Come ho detto, queste lettere, soprattutto la seconda, mi colpiscono, come una rivelazione.
Ma, sul momento, non le commento…
Ancora, dalla madre: da piccola, Franca, soffre di una forma di epilessia. Febbre e convulsioni. Un medico vede Franca mentre ha le convulsioni e, per la prima volta, suggerisce di fare delle indagini per una possibile epilessia.
Dagli esami non vengono indicazioni chiare. Comunque vengono indicati (e poi somministrati) i farmaci utili.
Consultano il Gaslini: è una bambina “suscettibile” all’epilessia; interrompete la somministrazione dei farmaci quando febbre e convulsioni non si presentano più; quando avrà superato l’adolescenza, il tutto potrà essere considerato anch’esso superato definitivamente.
Sentiranno successivamente il San Raffaele: si tratta di una forma di epilessia. Le difficoltà di comprensione – il “presunto” comportamento “da ritardata” – sono connesse all’insorgenza delle voci.
Non riesco a riandare le fasi della conversazione. Sappiamo che non ci sono “fasi”. Si passa da un argomento all’altro; da un interlocutore all’altro…
Fatto sta che chiedo a Franca che cosa le succeda. Incalzata mi dice che ha le voci: la assalgono in gruppo (di maschi) e la insultano (non sei capace di lavorare etc., mangi il tuo pane a ufo etc.). Talvolta sente le voci di coloro che la denigrano presso il direttore della scuola dove lavora; si tratta di una vera e propria “massa”… Immaginate che Franca sia nata a Buttro; ebbene, tutti i buttresi, dopo essersi passata la parola, si riuniscono nella cittadina dove Franca lavora e, in massa, vanno a denigrarla a scuola (e lei li sente).
Non subito, ma quando si è formato un clima favorevole, sorridendo, butto là che quest’ultimo fenomeno è davvero strano; e richiamo l’appello di Marx: proletari di tutto il mondo unitevi! I proletari solo raramente si sono riuniti; invece i buttresi si riuniscono, da tutte le parti d’Italia, sempre per denigrare lei!
Penso che già a questo punto faccio osservar che la “cosa” è, per l’appunto strana… E ho il coraggio di dirle che certamente non corrisponde al vero; nel senso che i bruttesi non si convocano per andare in massa dal direttore; è qualcosa di impensabile…
Ma… Ma, la sua energia è capace di convocarli, di convocarli in massa… Sì, è la sua energia… Complimenti!
La madre precisa che Franca, oltre a coltivare una fiera ostilità contro tutti i bruttesi, coltiva anche ricordi intensi dei nonni morti, per i quali ha sempre avuto, ed ha tuttora, un grande affetto.
Da come mi risponde, da come sorride, da come si rapporta con la madre e la sorella, capisco che non è nient’affatto ritardata.
Intromettendosi nel racconto che la madre fa dei suoi trascorsi scolastici, Franca aveva precisato che a lei la scuola non piaceva; questa era stata la causa dell’insuccesso scolastico…
Interrogata da me, Franca dice che le voci le incontra anche nei sogni… Sempre nella stessa maniera.
Quindi, spiego a Franca che, abitualmente, noi consideriamo il racconto dei sogni come interpretabile; ma, quando cerchiamo di interpretarlo consideriamo i “resti diurni”, in questo caso le voci, non come i protagonisti del sogno ma come materiali che hanno contribuito alla costruzione dello stesso…
Quindi, le voci nei sogni per noi non sono le voci… Quelle che la perseguitano.
Le dico anche che è interessante il fatto che questi sogni non si trasformino mai in incubi…
Chiedo a Franca se abbia qualche problema… evidentemente oltre quello delle voci. Quasi punta sul vivo, con una punta di aggressività Franca mi risponde che non ha nessun problema (tranne quello delle voci); ha un ragazzo pazzo di lei (che le telefona  spesso durante l’incontro…)
Ad un certo momento butto là che Franca mi sembra molto intelligente.
L’ha detto lei stessa che i suoi insuccessi scolastici erano dovuti al rifiuto della scuola…
A questo punto richiamo le indicazioni date da Gaslini. Hanno parlato del superamento dell’adolescenza…
In termini molto semplici, cerco di spiegare che i disturbi mentali insorgono nell’infanzia e nell’adolescenza; espressione della difficoltà a prendere la parola in questo mondo (nell’infanzia) o di affermare la propria visione del mondo (nell’adolescenza)…
È molto probabile che i medici del Gaslini abbiano capito che le convulsioni erano il risultato di crisi simil-epilettiche; visto che hanno  considerato superata definitivamente la possibilità dell’insorgenza delle convulsioni una volta superata (pacificamente) la soglia dei venti anni…
A questo punto ritorno sulle vicende dell’infanzia…
E valorizzo al massimo la seconda delle due lettere (è mentre ne parlo che la mamma si ricorda della prima).
Si tratta, dico, di un documento eccezionale. In esso (e con esso) Franca decide di intervenire su una situazione difficile; di “prendere la parola” (dato che si è accorta di non avere più voce in capitolo)… quindi: di riprendere la parola (e il dominio). Ha preso la penna e ha scritto (“altro che ‘ritardata’; avrà scritto anche in modo sgrammaticato, ma comprensibile; anzi, se mi mandate una fotocopia di questo documento straordinario, ve ne sarò riconoscente”). E, non solo ha chiesto che le venga restituito il maltolto, ha anche formulato delle minacce: mi arrabbierò…
Vedo che tutti sono colpiti dal fatto ch’io abbia dato tanta importanza al documento (e all’evento documentato). È più o meno a questo punto dell’incontro che la madre, en passant, definisce sua figlia come molto intelligente; interessante effetto retroattivo)…
Mi domando che cosa farò… Da tanto tempo non mi occupo di voci… In quest’ultimo anno le mie idee circa la psicopatologia, l’eziopatogenesi etc. sono cambiate molto; anche se, in tutti i miei “casi” che ho recentemente “revisionato”, ho visto in trasparenza l’ira di dio… ma non ho mai trovato una mossa sbagliata…
Ebbene, prendo il coraggio con due mani e faccio il mio intervento. Più o meno: Franca, lei è una ragazza intelligente… Non è assolutamente ritardata… Il suo “ritardo” non era un ritardo mentale; forse lo potremmo paragonare al ritardo di chi non rispetta un appuntamento. Lei rifiutava gli appuntamenti che le organizzava la scuola (che la scuola stessa costituiva). Sa, in alcune lettere Kafka dice che il suo cervello e i suoi polmoni si sono incontrati; il cervello ha chiesto ai polmoni se si potevano prendere loro il carico di quel che stava succedendo: i polmoni hanno accettato e si sono ammalati (altrimenti si sarebbe ammalato il cervello). Commenta Kafka: devono essere state delle “trattative” spaventose…
Mi seguono tutti affascinati.
Chiedo a Franca che cosa sceglierebbe tra le convulsioni e le voci?
Risponde: le convulsioni!
Commento: purtroppo le “trattative” di cui parla Kafka avvengono in luoghi a noi inaccessibili…
E continuo: quando i suoi rapporti con la sua piccola comunità sono stati difficili, ha fatto ricorso all’epilessia…
Franca conferma raccontando di quel che faceva a scuola; tra l’altro: singhiozzava fino a perdere il respiro (per attirare l’attenzione su di sé); l’insegnante la doveva prendere in braccio e portare alla finestra a prendere aria (e la carezzava)…
Continuo il mio intervento: adesso sono sopraggiunte le voci…
Che fare?
Io penso che, per non essere tallonata dalle voci (di altri), dovrebbe prendere lei la parola, avere lei “voce in capitolo”…
Non mi chieda come!
Non lo so!
So con sicurezza che da qualche parte lei ha le forze, l’intelligenza e le idee. Attinga da quel magazzino dove, ragazzina, ha trovato gli strumenti per scrivere la famosa lettera alla maestra etc…
Forse un’idea le può venire oggi stesso; o tra qualche giorno.
L’idea sarà portata da un miglioramento; o da un peggioramento…
Quando qualcosa di significativo si muove, mi telefoni e ci si vede immediatamente.
La madre, sicuramente bene impressionata (vi risparmio qui gli scambi con la madre e la sorella etc.), mi ricorda che i medici del Gaslini l’avevano definita “suscettibile” (di attacchi epilettici)… Scherzosamente le ho risposto che anch’io ero “suscettibile”! (Evidentemente all’ira; un richiamo alle minacce di Franca piccola nel famoso documento).
Li saluto. La madre mi chiede quanto mi debba. Le ricordo che l’incontro era stato già annunciato come gratuito. Sorridendo dico che dovrei pagare io per la storia straordinaria della lettera… Franca, in quel momento sulla soglia, tra la sorella già uscita e la madre ancora nel corridoio, sorride soddisfatta.
Fine.
Osservazioni?
A tutta prima, nessuna.
Mi sembra che in altre situazioni mi sarei comportato nella medesima maniera.
L’unico passaggio è dalla psicoterapia (con setting più o meno tradizionale) alla consulenza (diversa da quella tradizionale) all’intervento événementiel?
A pensarci meglio mi viene da “osservare” poche cose:
1) se non avessi letto e riletto Kafka non avrei interpretato come ho fatto la proposta del Gaslini; mettendo in circolazione le mie idee relative all’acategoriale etc.;
2) rileggendo queste note penso anche all’insubordinazione di Franca verso valori categoriali rappresentati dalle regole dei sistema parentale: so che hai un marito e una figlia; ma voglio che tu sia la mia mamma”!
3) Tra parentesi: nella proposta: ha un marito e una figlia ma lei vuole che … è sottintesa la negazione del tertius-um non datur; nelle dispute tra bambini in famiglia, invece, al tertius-um… Franca ricorre come ad un’arma che ha imparato nel categoriale e usa per ottenere la soddisfazione dei suoi bisogni…
4) Mi sono uniformato, quasi alla cieca, all’imperversare del processo vittimario bilaterale: Franca è nel bel mezzo (forse lo è sempre stata,  della pratica linciatoria. Nel suo caso forse più che in altri risulta evidente che il linciaggio originario e fondatore è quello dell’acategoriale.
5) Chissà, ma ci penso solo adesso, l’incazzatura alienata nelle voci (o: conservata nelle voci) è quella che ha che, allora settenne, Franca ha minacciato alla maestra.

Sulla base del punto 5) avrei dovuto, o potuto, dire a Franca qualcosa di simile: “La minaccia che ha fatto allora alla maestra, l’arrabbiatura che le ha annunciato… eccola nelle voci (sempre aggressive; fino allo spasimo)… Quella arrabbiatura è sua; se la riprenda!

Ma forse gliel’ho detto.

O forse è stato meglio solo accennare.
Quando ho presentato questo “caso” agli studenti, una studentessa, e giustamente, ma ha chiesto che fine abbia fatto il padre di Franca.
Infatti, egli non è nominato…
E io non ho cercato di saperne qualcosa. Non ci ho proprio pensato.
Questo la dice lunga sulla paratassi che lo psicoterapeuta arreca al paziente e che da questo riceve…
Una mia collega a Prato mi diceva che le occorreva un mese di lavoro per mettere a punto una diagnosi. Io dirigevo l’Unità Operativa; che potevo dirle? Che ciascuno fa il suo lavoro come crede meglio.
Già da allora (e prima ancora), ho fatto il mio lavoro psicoterapeutico pronto alla paratassi reciproca.
Questa volta non c’è stato tempo per occuparsi della figura paterna (viva o morta che fosse).
E forse perché quel che si doveva e voleva fare non era una diagnosi ma un intervento. La paratassi manda in briciole qualsiasi ipotassi. Forse la figura paterna, in questo sfracello, non ha fatto in tempo ad affacciarsi…

Intermezzo

Circa tre settimane dopo l’incontro qui diegeticamente  rendicontato, mi telefona il fratello (colui che mi ha cercato per primo). Mi dice che, immediatamente dopo l’incontro con me, la sorella ha presentato un cambiamento “radicale”. Non ha avuto il coraggio di chiederle se abbia ancora le voci. In ogni caso è “calma”. Gli ho chiesto che cosa volesse dire con “calma”; mi ha spiegato che non voleva dire “depressa”, anzi. A proposito dei medicinali mi ha detto che la madre ha sentito lo psichiatra della cittadina d’origine e quello che la segue… Alla fine Franca ha deciso di fare a meno delle medicine (le ha gettate a terra). Osservo di sfuggita che è positivo lo “svincolo” dalla protezione materna… Gli dico che sono contento che mi abbia telefonato; che potrebbe esserci anche qualche “colpo di coda”; sono a loro disposizione.
Mi ridomando che cosa abbia reso quell’incontro produttivo. Forse il fatto che Franca, che aveva alle spalle diverse “crisi”, era comunque “in crisi”; anche durante l’incontro; assediata da una massa vociante che non le dava tregua… Quella massa ha assediato me con lei (me, la madre e la sorella); qui il transfert… Abbiamo forse raggiunto le voci alla loro “altezza”; non ci siamo sottratti alla massa vociante… e abbiamo partecipato al coro, forse facendo anche un “assolo”…


Secondo incontro

Degli appunti veloci perché devo prepararmi per la partenza (per le vacanze).
Ieri (oggi: 2 luglio, 2009) mi telefona Franca: “Sono la sorella del signore che le telefonò…”
L’ho riconosciuta subito.
Aveva la voce quasi “allegra”; in ogni caso “entusiasta”…
Le ho detto che avrei potuto vederla oggi pomeriggio…
Arriva precedendo di molto la madre e la sorella.
Si precipita nello studio; si siede: sta male; sventola un foglio che mi dà a leggere…
Lo leggiamo insieme:
Voglio solo essere lasciata in pace dagli altri, io e Andrea. Dal giorno 2 giugno si è finita la scuola; ho finito di lavorare alle 11:30, ho regalato 2:30 a quella scuola, gratuitamente. Voglio essere libera come l’aria. Questo mondo che mi circonda è un mondo di merda” (i sottolineato è di Franca).
Nel frattempo sono arrivate la madre e la sorella…
Solo una volta accennerò alla lettera; osservando che mi ha ricordato la famosa “lettera a una maestra”: lei ha sorriso…
Due parole su quello che potrei considerare il segno di un transfert: dalla maestra a me: dalla richiesta di aiuto, corredata di minaccia, alla maestra, alla sua richiesta di aiuto, entusiasta, a me…
La sorella, ad un certo punto, segnala un fatto: Franca non si orienta nello spazio. Eppure (1) la volta scorsa, quando sono ritornate a prendere il telefonino, si è orientata benissimo; (2) oggi si è precipitata come una freccia; non ha sbagliato una strada (ho già detto che è arrivata trafelata precedendo madre e sorella).
Conferma dell’ipotesi: Franca sa dove può trovare aiuto. Un “sesto” senso la soccorre…
Diversamente dalla maestra, in me Franca ha trovato un aiuto?
Penso proprio di sì.
Avevo detto che mi sarebbe piaciuto che mi mandassero una fotocopia della lettera (ancora in dotazione della famiglia)… Ebbene, lei me ne ha portata una…
E in essa una richiesta di aiuto e nessuna minaccia.
Mi ha chiesto aiuto ieri e le ho risposto immantinente…
A lungo
L’incontro, due ore e venti, ha avuto l’andamento di una crisi: scoppiata e approdata a una tregua.
Come una furia grida (la madre la invita a non gridare ma la lascia gridare visto che io le faccio segno di lasciarla gridare): tutti contro di lei, sono invidiosi per questioni di danaro…
Brevi ritratti dei suoi familiari…
Il padre (e qui raccolgo alcune informazioni su di lui) è stato un custode; è andato in pensione ma continua a lavorare, come calzolaio, per aiutare economicamente i figli. È claudicante per i postumi di una poliomelite…
La madre: Franca stravede per il padre…
La lascio gridare. Le chiedo solo delle voci: le sente di rado.
Sembra più ossessionata da persone e situazioni reali.
Sondo come sia stata dopo l’incontro con me (non so se sa della telefonata del fratello): è sempre stata male, malissimo.
Ad un certo punto il volto è una maschera di dolore. La madre le dà un fazzoletto perché si possa tergere le lacrime…
Parla soprattutto la sorella. Dalla quale vengo a sapere che per qualche tempo Franca è stata benissimo…
Allora, capito che Franca sa della telefonata, le chiedo di nuovo come sia stata…
Malissimo!
Ad un certo punto cambia espressione.
Sorride furba e si mette a raccontare episodi in cui ha “reagito” (alle persecuzioni)…
Probabilmente è già successo quanto segue: alla sorella dico che è importante il fatto che Franca non si ricordi d’essere stata bene. Forse, quando vive una situazione, lo fa con tale intensità che quello stato d’animo inonda tutto…
Ancora: il mondo è come diviso in due: i familiari buoni da una parte; tutti gli altri, cattivi, dall’altra. In mezzo (dico io da un certo momento in poi) il ragazzo: Andrea vorrebbe sposarsi e vorrebbe andare a convivere con i genitori. Lei è contraria… Parla del “salone” dove lavora Andrea – che fa il barbiere – e dice che i buttresi vanno a insinuargli cattiverie sul conto della sua fidanzata (Franca). Da quel che la sorella mi dice mi sembra che Franca non reagisca contro i suoi presunti persecutori… La sorella mi dice infatti che quando Franca ha dei dissapori con i colleghi telefona a casa e si sfoga con i familiari…
È qui che Franca precisa: io reagisco!
E racconta di quando un ragazzo – tra i 15 e i 17 anni – si è messo a zoppicare: evidentemente per fare il verso al padre…
Gli ha tirato un calcio sulla scarpa (non ho capito bene che cosa mi abbia detto di questa scarpa; in sostanza, era una scarpa che questo ragazzo indossava e non indossava…); la scarpa è volata per aria…
Qui c’è il primo momento di distensione. Per una serie di ragioni: lei si alza in piedi per mimare la scenetta; la sorella conferma: si è voltata e ha visto la scarpa roteare per aria…
Mi viene di commentare, sorridendo, che questa scarpa sembra aver preso l’aìre… Ma è tornata indietro?
Franca sorride compiaciuta (come se avesse raccontato una barzelletta divertente)…
Snocciola altri due episodi…
Commento che, in realtà, tranne nel caso della scarpa volante – anche questa volta non ha rivendicato il gesto; si è scusata  accampando una svista –, non si è mai scontrata col persecutore. Quindi non ha avuto la possibilità di fare dei riscontri…
Comincio a parlare dell’utilità di questi riscontri… Secondo me lei ha diviso il mondo in due; fortunatamente c’è il rapporto col ragazzo che è problematico…
La inviterò a non arrendersi… a verificare… Spiego che le verifiche – che implicano degli scontri, dei dibattiti anche feroci – faranno scomparire il “salone”; questo luogo grandissimo dove i buttresi la insidiano presso il suo uomo scomparirà perché lei stessa si farà interprete dei dissensi…
Ci sarà, invece di persecuzione, conflitto…
Le chiedo, quasi ex abrupto, che rapporto ha con me (l’unica ripresa del transfert); mi risponde chiedendomi che cosa voglia dire. Le spiego che anche nel nostro rapporto possono nascere incomprensioni…
Da un certo momento in poi è pensosa. Le chiedo che le succeda: sta cercando di capire.
Furia, pianto, sceneggiate, pensosità…
Le dico che questo è stato un “percorso”; durante il quale è stato possibile per tutti noi orientarsi tra difficoltà e incomprensioni.
Dimenticavo: non prende nessun farmaco… La madre si domanda che fare coi farmaci…
Le dico: “Ma in queste due ore che cosa è successo? Ha preso un farmaco?”
Stupore…
La madre mi dice che le succede anche a casa di infuriarsi e poi di mettersi tranquilla davanti al televisore. Le spiego che, se Franca salta da Piazza del Duomo a piazza della Stazione, ci si deve domandare come sia passata da una piazza all’altra. Fondamentale è conoscere la pianta della città; per poter fare delle ipotesi di percorso; correggerle o…
Vado alla conclusione: mi telefonerò se starà male;  ma anche se starà meglio…
Ho già accennato al transfert.
Si può precisare quanto segue: il transfert è evidente: dalla maestra a me; nel senso che a me Franca porta una lettera così come l’ha portata alla maestra; ma la direzione è diversa: la lettera alla maestra chiedeva aiuto e minacciava… In me sembra che Franca l’aiuto l’abbia trovato: grida di dolore e di rabbia contro i persecutori; ma io non sono tra questi ultimi; sono colui che l’ascolta e che suggerisce alla madre di lasciarla gridare.
Il primo CCRT è “Richiesta d’aiuto con minaccia”;  l’attuale è “Ulteriore richiesta di aiuto presso colui da cui l’aiuto l’ha già erogato; e che, quindi, è diventato un punto di riferimento positivo”.
Interessante che il transfert non sia stato interpretato; anche se di sfuggita ma con incisività (un ossimoro come “festina lente”) ho segnalato la rassomiglianza tra le due lettere; e ho ventilato la possibilità di un rapporto tempestoso anche con me. Franca ha capito (qualche cosa): ha sorriso.
Dal punto di vista del processo vittimario:
Franca è la vittima dei persecutori; arriva assillata da essi; sulla via che la porterebbe alla rupe tarpea se non ci fossi io…
Io divento la vittima. Il suo grido di dolore e di rabbia è lancinante. Sembra diretto a me. E si prolunga…
La madre, esortando Franca a calmarsi, la vuole distogliere dal vittimizzarmi?
Invitando la madre a lasciarla fare accetto la vittimizzazione.
L’incontro si conclude con la consumazione del sacrificio bilaterale.
Senza che sia stata versata una goccia di sangue.
Soffermiamoci ancora sul transfert e sul processo vittimario.
Nella psicoanalisi il processo “specifico”, quello per antonomasia, non è tanto il transfert quanto l’interpretazione del transfert.
In teoria l’interpretazione blocca, di per se stessa, il transfert; per dirla nei termini di Girard, essa toglie la “méconnessaince” e rende impossibile il transfert aggressivo prima e amoroso dopo.
Bene, nel corso dell’incontro con Franca (e i suoi familiari), c’è stata interpretazione? C’è stata toglimento – Haufhebung – della méconnessaince?
Difficile dirlo.
Penso che proprio questa difficoltà segnali in questi due incontri qualcosa di decisivo a proposito del transfert.
Ricordate che la volta scorsa ho osservato, ancora di sfuggita ma in modo incisivo, che Franca era intelligente. E alla fine, in un turno verbale della madre, ho trovato incorporato, come elemento costitutivo, elementarmente, naturalmente  costituivo, come un “dato”, l’intelligenza della figlia.
Probabilmente non c’è bisogno dell’interpretazione come “restituzione”: hai detto o fatto questo; intendevi dire o fare questo etc.
Nessun intervento di questo genere è stato fatto alla madre a proposito dell’intelligenza di Franca nel corso del primo incontro. Nel corso del secondo incontro, nessun intervento di questo tipo è stato fatto a proposito della rabbia di Franca; è bastato accennare ch’era il caso di lasciarla “sfogare”. Era sottinteso: “È giusto che si sfoghi. Anche se io non c’entro, anche se io non sono un persecutore”. La segnalazione, alla fine dell’incontro, che un “farmaco” –  la girardiana “purificazione” dalla peste del parossismo mimetico – ha agito su Franca e su tutti i suoi interlocutori è la spiegazione in termini icastici ma non “restitutivi” della necessità un “percorso” (da una piazza all’altra). La spiegazione che accettare (da parte di Franca) di devolvere, investire il suo dolore e la sua rabbia (su di me) e l’accettazione del sacrificio (mio) consente il superamento della vittimizzazione.
Almeno, di quella cruenta.
Almeno, per un po’.

Terzo incontro

Sono andate via da poco Franca e la madre (giorni fa sono state da Pino Pini).
Oggi è il 24 di luglio.
Cercherò di dire l’essenziale di un incontro di un’ora e mezzo (il più breve dei tre).
Anche questa volta Franca mi ha portato una lettera: “Durante il sonno sono a letto ho notato, mentre sono in dormiveglia, che sento delle piccole vibrazioni ad ogni parte del corpo, come se sentissi la corrente del corpo, e il mio corpo ‘salta’. Le voci le sento ogni tanto, di notte, come questa notte 18.07.2009, è stata una notte d’inferno, le sentivo molto vicino a me, mi tenevano sveglia e ad un certo punto non c’è l’ho fatta più e sono crollata di sonno ‘svenendo’ per dormire”.
Già da Pino avevo saputo che, in un’occasione pubblica, pensando che un signore, colpendosi la tempia con un dito, avesse voluto dire di lei che era “toccata”, lo ha aggredito colpendo a sua volta la propria tempia…
Franca mi racconta…
Alcuni elementi: al centro di  questa “ricorrenza” c’era il ragazzo (chiamiamolo Pietro) di una sua sorella; si tratta di un ragazzo “particolare”; la sorella non riesce a “metterli insieme”; o sta dalla parte del suo ragazzo o da quella di Franca;
alla ricorrenza si sono presentati molti estranei; alcuni vestiti bene, altri in modo trasandato; etc.
La madre afferma che, se Pietro l’avesse presentata, Franca sarebbe stata felice (e non sarebbe successo il putiferio ch’è successo)…
Si parla a lungo di quel che è successo (e che solo parzialmente ho riportato).
Faccio fatica a capire.
Mi espongo a diversi tentativi di ricostruzione…
Infine: “Già l’altra volta mi ha portato una lettera. Che mi ha ricordato la lettera spedita alla maestra… Come se io fossi la maestra; a quella che l’ha adottata. Sono contento… Interessante è anche che oggi si stia parlando più di personaggi (persecutori) reali che di voci (persecutrici)”…[1]
Franca segue il ragionamento molto attenta e compiaciuta (approvando)…
Importante che si tratti di personaggi reali: perché in questo caso si possono fare “riscontri”…
Penso che la madre abbia ragione: se la sorella sapesse fare un po’ di “mediazione”, forse si eviterebbe qualche pasticcio…
Dopo un bel po’, riemergono le voci: sono sempre i buttresi:  parlano male dei fratelli…
Chiedo a Franca se mi sa dire i nomi (di questi buttresi)…
Mi guarda sorpresa e tace.
Insisto un po’.
Mi dice che non può fare i nomi… perché non è sicura che siano proprio loro…
Straordinario!
Le spiego – e mentre lo faccio mi sento emozionato e glielo dico – che questa sua incertezza, questo suo dubbio, è una salvezza…
Rende possibili accertamenti; esiti disparati…[2]
(Non a caso, penso, verrà fuori… Che cosa? La sorella le ha portato, come regalo di Andrea, un dischetto. Lei ha pensato che si trattasse di un regalo simulato dalla sorella… Alla fine ha appurato che Andrea ha solo masterizzato… Ma qualcosa ha fatto! La sorella è riuscita a “mediare”)…
Franca è colpito dalla mia reale emozione…
Ad un certo punto tiro le somme…
Potete capire quali…
Franca, col suo atteggiamento furbo e sbarazzino, mi chiede che cosa significhi “pslata”…
È una parola che le hanno lanciato le voci…
Quando vengo a sapere che Pino le ha spiegato il senso della parola “psicolabile”, le dico che, forse, “pslata” viene da “ps” e da “lata” (da fero, fers, tuli, latum, ferre) = psico-portata (via/altrove)… = andata via di testa… “Labile” da labor, laberis, lapsus sum, labi = che può scivolare (nella pazzia)…
Le sue voci sanno il latino…
Salutandomi la madre mi chiede se possono portarmi un pensiero… Qualcosa di “piccante” tipico del loro paese. Le dico: “Sì, se si tratta di qualcosa di piccolo”.
Entrambe mi stringono la mano e mi ringraziano…
(Stavo per ringraziare loro della commozione che mi hanno fatto provare. Ho la netta impressione d’essere stato testimone di un evento dell’anima… Franca è un’altalena tra birberia e maschera di dolore… E il suo volto, la sua voce, mi hanno parlato della sua anima… E della nostra, della mia…)


Quarto incontro

Come mi aspettavo, oggi (3 settembre 2009) è tornata Franca.
Con la sorella.
Che seguiva a ruota.
Mi ha subito consegnato un’altra lettera. Una parte del foglio, ritrovato durante le vacanze dalla mamma, mandato jadis alla maestra.[3]
Sintetizzo al massimo (l’incontro è durato circa due ore).
Franca è arrivata trafelata con in pugno una lettera: gesto ormai rituale ma, questa volta, Franca ha in pugno il documento originario, autentico…
È successa una tragedia. Ha rotto il fidanzamento…
Come le altre volte,  Franca urla la sua rabbia.
Ha sofferto enormemente: passando pendolarmente dalla poltrona al letto e viceversa, ha pianto a non finire per intere giornate… (Questo dolore fortissimo ha come fugato per qualche tempo le voci)…
Dopo poco passa a parlarmi delle voci; queste, come sempre, contengono calunnie; e queste calunnie riguardano questioni di soldi. Sembrerebbe che le voci siano “invidiose”…
Di che?
Dei soldi…
Arrischio due volte una domanda circa la possibile motivazione…
Zero motivazioni: Franca mi spiega, in lungo e in largo, quanto la sua famiglia sia povera…
Taccio.
Anche se mi metto a pensarci…
Dopo un bel po’ – nel frattempo Franca si è sfogata per almeno mezz’ora-tre-quarti d’ora – oso raccontare un episodio capitatomi la settimana scorsa.
Una mia ex-paziente mi ha telefonato angosciata. È venuta a trovarmi: adirata per una serie di iniziative, secondo lei losche, che hanno visto alcuni suoi vicini di casa deturpare il quartiere (vicino al centro storico), ha mandato delle e-mail all’ufficio del Sindaco etc…
Inizialmente sembra che la sua angoscia sia causata dalla paura di eventuali ritorsioni…
Ma, da indizi che adesso non ricordo, ho un’idea: “Tu – le dico – proteggi gli esxtra-comunitari; più in generale, i poveri e i disgraziati. Ora hai paura che la tua aggressività contro gli autori del degrado colpisca anche gli extra-comunitari che stanno affollando il tuo quartiere”.
Come dire: “La tua aggressività, a cui i destinatari delle tue e-mail non hanno ancora reagito, rimasta nel vuoto, ti è balzata addosso. Come un bumerang; o come una pallottola volante”.
L’ipotesi è stata confortata dalle notizie successive: il Sindaco etc. hanno risposto; c’è chi sta appurando etc.
L’angoscia è svanita.
Un esempio classico del come si possa produrre un delirio di persecuzione.
Franca e la sorella mi ascoltano con molta attenzione.
Dico che non so – ed è vero – perché abbia raccontato loro questo episodio…
Suggerisco a Franca di dimenticarsi tutto.
E, chissà, tra qualche giorno o qualche ora si percuoterà con la mano la fronte avendo finalmente colto un busillis
Si conversa.
Mano mano mi faccio più audace; in realtà capisco meglio il senso di quel che ho fatto e lo illustro meglio.
E ricordo la famosa lettera…
E ricordo che, alla fine del primo incontro, le ho suggerito di raggiungere la piccola Franca che aveva saputo scrivere quella famosa lettera… Per attingervi la forza  necessaria e l’idea geniale utili a orientarsi nel suo tormento…
Individuo la struttura della lettera: desiderio di essere trattata come figlia dalla maestra (di essere da lei adottata); nella piena consapevolezza che la maestra ha già una figlia; desiderio, quindi, progetto e speranza; ma consapevolezza delle difficoltà dell’esaudimento; e minaccia di aggressione… in caso di mancato esaudimento.
Ma, la difficoltà dell’esaudimento, è previsto dalla struttura della lettera!
Spiego a Franca: “Non è che ha chiesto alla maestra di disconoscere la figlia; in questo caso il suo desiderio si sarebbe caricato di un’aggressività ‘invidiosa’ (vedi le voci)”…
Se ci fosse adesso un processo pendente relativo a questioni genealogiche a proposito di una eventuale eredità della maestra etc… chi penserebbe mai di portare in Tribunale quella famosa lettera; allo scopo di dimostrare che tutto è nato dal desiderio, inesaudito, di quella adozione?
Tutto questo viene fuori a poco a poco…
Ho modo di rendere chiaro che, sempre, quando Franca arriva – e arriva precedendo sempre i congiunti –, si mette a urlare e urla per una buona mezz’ora: come se io fossi il portatore delle voci (meglio: come se io fossi il rappresentante dell’accolita del bruttesi).
Io la ascolto; a poco a poco, quasi tranquillizzata dalla scoperta che nel mio studio non ci sono le voci, tranquillizzata che io non sono la voce, si rilassa; e conversa con me.
Come questa sera.
È diventata quasi serena.
Lo sguardo penetrante. Sembra che abbia capito tutto; anche quel che io non ho ancora capito.
In sostanza: una legittima aggressività è stata liberata; ma, avendo perso il suo obiettivo, è rimbalzata e rimbalza su di lei.
Bisogna orientarla verso un bersaglio, prendere la mira e centrarlo.
Ad un certo punto ci salutiamo.
Chissà come mai, ci avviamo verso la porta a passo felpato, come camminando sulla punta dei piedi. Lo segnalo, ci sorridiamo sopra – un sorriso felpato – e ci stringiamo la mano.

Quinto incontro

Fine di dicembre (2009). Sono venuti Franca, la sorella e uno dei due fratelli (non quello che mi telefonò jadis).
Franca mi ha telefonato a settembre. Stava male. L’ho ascoltata… e le ho detto di venirmi a trovare.
Ormai avevo capito che, quando era presa dalla furia (e dalla paranoia),“bastava” che si potesse sfogare contro qualcuno… contro qualcuno che fosse “innocente” (nel caso io) perché riuscisse a placarsi.
Ma bisognava che lo “scenario” fosse organizzato all’uopo…
Non l’ho più sentita.
Dopo uno o due mesi ho telefonato per chiederle come stesse. La voce era sbarazzina (= buon segno). Mi ha detto che stava bene e… che aveva un appuntamento con  una psicologa (a cui l’aveva spedita il suo psichiatra).
Le ho risposto che ero contento che stesse bene; ero comunque sempre a sua (a loro) disposizione.
Mi ha rattristato che uno psichiatra insensibile (e incompetente) avesse spedito un’uditrice di voci e la sua famiglia da una psicologa non tenendo in alcun conto il rapporto “privilegiato” che si era creato con me…
Mi sono venuti in mente due episodi di quando lavoravo come psicologo nel CIM di Firenze-Centro. (1) Ho portato una mia paziente – mai vista una persona che soffrisse tanto, fisicamente e psichicamente – al CIM… Presso il quale è stato aperto un servizio “a scanso di ricovero”. Un giorno mi telefona a casa: ha deciso di suicidarsi. Probabilmente scommettendo sulla sua puntualità, le chiedo di ritelefonarmi il giorno seguente “alla stessa ora”. Vengo a sapere che è stata ricoverata: lo psichiatra al quale l’avevo affidata (perché collaborasse con me), anche lui informato della “cosa”, temendo il peggio, l’ha “rinchiusa”! (2) Un’esperienza straordinaria. Arriva una signora perseguitata dalle voci: un coro… Riesco a farmi mettere in contatto con le voci da lei medesima (lei = medium). Le voci mi rispondono… Manca l’appuntamento successivo: è stata ricoverata in reparto psichiatrico. Mi precipito in reparto: è del tutto imbambolata di medicine. Due settimane dopo la incontro presso il CIM, accompagnata da un’infermiera, tutta zoppicante: imbottita di farmaci, più di là che di qua… probabilmente “senza” più voci (né in coro ne in a solo)…
Sono ad un convegno, durante l’intervallo. Una telefonata: la sorella di Franca si scusa di non avermi telefonato prima; per comunicarmi la scelta dello psichiatra. Le dico che l’essenziale è che la sorella stia bene (e sono sempre a loro disposizione).
Questa volta Franca parla poco.
Sta bene. Non sente le voci. Meglio: le sente ancora un po’, ma dà loro poca importanza.
Scherzosamente le chiedo (coinvolgendo con lo sguardo anche i fratelli): “Che avrebbe pensato mesi fa se le avessi detto che le voci non avevano importanza?”
“Non le avrei creduto”!
In sintesi: probabilmente sia perché Franca sta molto meglio sia perché è presente un fratello che non mi conosce e vuole sapere… parlo di più con i fratelli che con Franca.
Una sorta di psico-educazione: (1) Franca ha bisogno di sfogarsi; quando scopre l’innocenza si placa; (2) non è bene sottovalutare le voci (= non hanno importanza); perché esse sono importanti; (3) è un po’ come quando si fa un digiuno prolungato e i succhi gastrici si mettono a nutrirsi delle pareti intestinali; ecco, le voci sono equivalenti ai dolori prodotti dai succhi gastrici che… che hanno attaccato l’intestino in mancanza di un nutrimento: bisogna capire di che cosa Franca ha fame…
Accortomi che Franca è silenziosa (forse si sente trascurata?), le spiego sorridendo che questa volta sto parlando con i fratelli: sono loro ad avere dei problemi.
Alcune cortesie etc.

Sesto incontro

Sono i primi di luglio.
Circa due mesi fa ho telefonato a Franca e le ho chiesto come stesse. “Bene!”, mi ha risposto. “Sta bene anche il mio fidanzato”.
Mi è sembrata pimpante.
“Sono contento!”, ho commentato.
Qualche giorno dopo le ho mandato un messaggio (sì, un SMS) in cui le chiedevo il favore di fissare un appuntamento prima delle vacanze estive. Mi ha subito risposto che si sarebbe fatta viva.
Il che è successo giorni fa.
È venuta con la sorella. Da qualche tempo sta male. Sente le voci. Che dicono le voci? Tra l’altro che lei è una “donnaccia”. Le chiedo che vuol dire “donnaccia”; evidentemente donna di facili costumi. Viene fuori che il fidanzato voleva la castità (la sorella precisa che hanno, comunque, avuto rapporti sessuali).
Ne riparleremo tra poco.
Quel che attira la mia attenzione è un episodio occorsole recentemente: una sua collega (donna delle pulizie presso una scuola) le ha dato del “cesso”: le ha detto che era stanca dei cessi che non funzionavano e anche di lei: l’ha, quindi, avvicinata ai cessi; per di più, a quelli che non funzionano.
Più tardi, Franca è esplosa. Si è messa a gridarle (dal piano superiore della scuola) che cesso era lei etc. La sua voce era talmente alta che una collega le ha detto di stare attenta perché la sua voce avrebbe disturbato il direttore…
Le dico che questa volta ha “preso la parola”. Non si trattava di una “voce” sentita solo da lei. L’avrebbero potuta sentire anche altri; anche qualcuno che sarebbe stato meglio che non la sentisse: il direttore…
Nel corso dell’approfondimento, la sorella ricorda un episodio discusso a suo tempo (quello della scarpa e quello della discussione della tesi…). Le spiego che quella volta Franca aveva “proiettato”. In mancanza di un corrispettivo alle voci, aveva scelto il primo passante.
Sempre la sorella: Franca è “petulante”. La petulanza arriva fino alla rabbia. La rabbia porta quasi alla violenza (Franca informa che al momento opportuno si è sempre frenata). Le spiego che, secondo me, si tratta di due “serie”: quella delle prese della parola autentica: vedi il recente alterco con la collega a scuola; vedi i testimoni; quella delle proiezioni: vedi la scarpa etc; vedi le liti in famiglia.
Cerco di spiegare anche a Franca il mio pensiero. Se vuole non essere più perseguitata dalle voci, è importante che prenda la parola (ricordo la lettera alla maestra e entrambe si stupiscono che me la ricordi; come avrei potuto dimenticarla?). Nel corso dell’alterco… dei testimoni hanno sentito la sua voce e quella della collega altercante. Mentre le “voci” che la perseguitano… nessuno riesce a sentirle. Sono sicuro che esistono. Ma non riesco a sentirle, io. È come se fossero sogni; importantissimi (Freud nel 1900 scrisse la sua prima grande opera, forse la più grande, sui sogni); ma dalla bocca del sognante non escono dei fumetti con il racconto dei sogni… È necessario che lei “si svegli” e racconti le voci… Come fare per parlare con le “voci” come se si fosse svegli (con testimoni partecipi) e non come se si fosse in sogno?
Prendendo la parola.
Le invito a richiamarmi. Se sono interessato a Franca è perché sento che un lavoro con lei la può aiutare. Se si fosse trattato d un “caso disperato” non mi sarei fatto vivo”!

Una “ripresa”

Scrivo qualcosa su Patrizia dopo anni di silenzio.
L’ultima volta della serie, un anno fa: lei stava molto male. Ricordo di averle detto che aveva le “voci”. Chissà, forse non glielo avevo ancora detto così chiaramente. Fatto sta che non è venuta all’appuntamento che, questa volta, avevo fissato “anticipato”.
L’ho poi cercata via telefono. Stava molto meglio. Mi ha confortato sapere che frequentava un gruppo di musicoterapia.
Mi ha telefonato per un incontro prima di Natale: ma ero in Turchia.
L’ho ricercata io prima delle vacanze estive.
È venuta con la sorella. Stava male. Le voci; non solo quelle che la ossessionano in coro…
Ma, ormai, è passato un mese da questo incontro
Scrivo questa nota solo per raccontare l’episodio che mi ha colpito di più; anche perché mi ha costretto a una rivisitazione del Leitmotiv delle “lettere”.
A proposito di transfert.
L’unica cosa “positiva”: frequenta sempre il gruppo di musicoterapia. Mi racconta alcune cose. Ad un certo punto, come colta da un pensiero improvviso, mi dice che un membro del gruppo le ha consegnato una lettera in cui si rivolgeva a lei definendola “tigrotta”.
Me lo dice sorridendo.
Alla fine definisco le voci con più precisione del solito; anche come prodotto di un trasferimento (= paranoia).
In compenso, qualcuno le ha dato della “tigrotta” e lei ancora ne sorride. Non l’ha “presa” come un’aggettivazione spregiativa: “Tigrotta!”, detto in guisa di insulto.
Non si tratta di una “voce”.
O si tratta proprio di una voce!, ma diversa.
Questo episodio, forse l’insieme dell’esperienza presso il gruppo di musicoterapia, sta funzionando come “compensazione” all’esperienza delle voci.
Si tratta di incrementare questa “compensazione”. Per farlo è fondamentale sapere d’essere in grado considerare le lettere ricevute come non necessariamente “minatorie”.
“Tigrotta” è stato, questa volta, un “buffetto” affettuoso.
(Stavo per chiederle di portarmi una fotocopia della lettera! Detto tra noi: è evidente una “ripresa”. La lettera alla maestra era una richiesta corredata di una minaccia; la lettera a me era la medesima richiesta trasferita a qualcuno [a me] che accoglieva la richiesta, incamerava la minaccia [gli urli etc.] ma anche neutralizzava il suo possibile esito letale. L’ultima lettera è la risposta a quella stessa richiesta; sotto forma di una lettera, questa volta scritta non da lei ma a lei: da un  compagno del gruppo di musicoterapia. Questa volta il trasferimento è del tutto “inedito”. Non è il trasferimento di sé (si dice spesso: di una parte di sé; Lai direbbe: di un disidentico) sugli altri [come sono forse quasi tutte le sue voci], ma il trasferimento di un altro su di lei. Di un altro che la definisce “tigrotta”; e se lo può permettere. Se abbiamo sempre sostenuto che si ha un “co-transfert”, qui dobbiamo precisare che il co-transfert si è attivato positivamente tra Patrizia e il suo compagno di musicoterapia. Lei può trasferire su di lui; lui su di lei; su di lei anche qualcosa di “nuovo”, “sorprendente”, e tuttavia non minaccioso).
È chiaro che tutto quel ch’è ho chiuso dentro le parentesi sono mie riflessioni che non ho offerto a Patrizia.


Un frammento della “lettera a una maestra” di Franca:

La medesima “trasferita” più di vent’anni dopo allo psicologo in due occasioni:

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E ancora:


[1] Avrei potuto aggiungere: “Vedo che Franca ha accettato l’invito fattole la volta scorsa a confrontarsi più direttamente con i suoi supposti avversari”.

[2] Capisco che potrebbe grattarsi di una “reticenza” a fare i nomi: Franca teme la mia persecuzione; quindi non scopre le sue carte… D’accordo. Ma io mi fido dell’emozione che si è impadronita di me.

[3] Con gli errori di una bambina meridionale e un asterisco là dove c’è una cancellatura: “Ma estra io loso chetieni la figlia pero * voradeseri la mamma mia? No perche? Perche io tenco una figlia e un marito loso * capischi un po? * Voglio dire da sola”.