Forse l’ho presa un po’ sottogamba!
Ho letto, in traduzione francese, un libro di Hans Belting: Florence et Bagdad. Une histoire du regard entre orient et occident.
Ve lo raccomando.
Ricordo qui solo la sottolineatura della differenza tra la finestra occidentale e la mashrabiyya mediorientale, la fenȇtre grillagée.
Alla finestra occidentale si affaccia l’uomo rinascimentale che, non solo si fa spettatore dell’aldilà della finestra, ma anche lo domina facendosene un’immagine ch’egli afferma corrispondente alla realtà (la “prospettiva”).
Chi, invece, guarda alla mashrabiyya, non vede il mondo esterno ma la luce che attraverso la grata inonda l’interno disegnandovi delle geometrie astratte.
Le grillage: est une fenȇtre de lumière et non une fenȇtre du regard, car son grillage confère à la lumière une forme qui ne se dessine que dans la maison et qui requiert un intérieur et sa sombre toile de fond.
Mi viene in mente che, nel riad (a Fès e altrove), le finestre si affacciano sul cortile;
Leggete, leggete. E scoprirete un’antica diversità nell’uso dello sguardo (semplificando: formare un’immagine o accogliere la luce) che forse sopravvive.
… les femmes se voilaient, les hommes étaient tenus de détourner les yeux…
La tipica casa elegante della Istanbul ottocentesca presentava un pianterreno in pietra, sopra il quale si trovavano uno o due piani in legno. L’edificio sfoggiava sempre una çikma, parte che si protendeva sulla strada e derivava da tradizionale balcone turco che, nella zona settentrionale del Paese, era chiuso a causa del clima freddo. Le grate in legno, o kafesler, sulle finestre dei piani superiori permettevano alle donne di casa di guardare fuori e di vedere le strade sottostanti senza però essere a loro volta intraviste. Qui di seguito alcune finestre tolte in prestito dal libro citato; altre fotografate da me a Istanbul. Ricordate i “postumi” del diluvio? “E [Noè] bevve del vino, e s’inebriò, e si scoperse in mezzo del suo tabernacolo. E Cam, padre di Canaan, vide le vergogne di suo padre e lo rapportò fuori a’ suoi due fratelli. Ma Sem e Iafet presero un mantello, e se lo misero ambedue in su le spalle; e, camminando a ritroso, copersero le vergogne del padre loro; e le facce loro erano volte indietro, tal che non videro le vergogne del padre loro” (Genesi, 9, 21-24).
Come ben ricordate, Noè maledisse Canaan…
Una discreta obiezione: il velo, il filtro fotografico di Nadeem, forse costringe anch’esso a farsi un’immagine del mondo. La sua grata struttura lo sguardo sul mondo; non fa penetrare solo la luce proveniente dal mondo.
Un’immagine vale e non vale l’altra?
Quella occidentale dialoga col mondo; cerca di misurarlo e di farsene misurare. Quella orientale lo travisa; e lo fa volontariamente; oscurando lo sguardo, accecandolo; fingendo di coltivare la luce che attraverso la grata trapassa.
(Forse qui sarebbe da riconsiderare la fotografia della finestra-prigione con la quale abbiamo concluso il capitolo precedente).
Forse abbiamo a che fare con il “superamento” (il superare) e la “trascendenza” (il farsi trascendere)?
Insomma, se penso all’obiettivo incorporato nel mio apparato ottico, mi sento distante dalla Maschrabiyya di Nadeem; più vicino al Brunelleschi nel suo esperimento prospettico davanti al Battistero (vedi, insieme, le figure uno e due: nella seconda il riflesso nello specchio del Battistero curato da Rotman); a parte le numerose varianti quali quella dell’Autoritratto in uno specchio convesso di Parmesan, del Ritratto d’un architetto o autoritratto di un pittore di Licinio, della La finestra di Samuel van Hoogstraten. Per finire con l’Interno di Hassan Fathy che non a caso mi appare più congeniale della Maschrabiyya di Nadeem, pur essendo l’esatto contrario del mio obiettivo incorporato.
Ma è l’esatto contrario anche della Maschrabiyya di Nadeem.