Non ho nessuna documentazione di quel che vi sto per dire; capirete il perché.
Siamo nel più grande mercato dell’Africa, quello di Addis Abeba: Addis Kelema (ovvero: “città nuova”).
Non mi sono accorto di nulla. Ad un certo punto capisco che è scoppiato un tumulto; e io ne sono il responsabile: in quanto fotografo. Un etiope proclama a gran voce e con gesti risoluti che devo smettere di scattare fotografie; da quel che capisco, vuole anche sequestrarmi la macchina fotografica.
Paolo lo affronta di sguincio: gli chiede se sia della polizia; in caso positivo, lo invita a qualificarsi…
Interviene Betty, la donna etiope di Paolo.
Si sgola a mia difesa.
Poi, sotto la pressione anche di Luca (Linkenesc), il tassista amico, trova un punto di mediazione: cancellare le ultime fotografie.
Ritraevano la poubelle; lo dico alla francese!
In realtà si trattava di una magnifica struttura – un enorme cassonetto – dove tutti i mercanti portavano enormi quantità di avanzi.
Straordinario!
In quel mercato infinito, infiniti sono anche gli avanzi!
Vi parrà strano, ma la semplice idea che ad Addis Abeba possa “avanzare” qualcosa, per me è adesso (non allora) una verità clamorosa.
Avrei voluto (allora) dire che avevo fotografato situazioni molto più penose.
Questa, anzi!, mi sembrava un possibile motivo di vanto per Addis Abeba!
Commento: a questo leader non dava fastidio che fotografassi le scene del mercato. Gli dava fastidio che io fotografassi, sic et simpliciter. Meglio, che io potessi fotografare, che avessi una macchina fotografica (per farlo).
Una piccola lotta di classe! Per questo penso che il tizio fosse un leaderNoi, quelli che hanno le macchine (non solo quelle fotografiche), siamo i padroni.
“Padrone!”, mi apostrofa un etiope che abita in un abitacolo improvvisato vicino alla Piazza, quella costruita dagli italiani. Io mi schermisco. Ma mi fa fotografare.
Non il furto dell’anima; la rapina della vita!
Nessuno di noi è un rapinatore. Ma siamo i “più forti”, almeno ancora per un po’.
E gli altri, “soccombono”!